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Artpoint18 è un luogo straordinario. È un luogo dove l’arte, intesa come
intuizione sensitiva, come immaginazione pura, è una sfida all’impossibile,
all’improbabile. È un succedersi continuo di eventi artistici, di composizioni
immaginifiche, spaziali, di simbologie esoteriche ed ermetiche. L’habitat è
una cameretta spoglia, totalmente vuota: di volta in volta, gli artisti Giordano
Montorsi e Sandra Moss vi collocano, vi sistemano degli oggetti, dei manufatti
artigianali, da loro prodotti. Nel loro fare e disfare seguono un progetto, un’idea:
da semplice bozza la sviluppano l’amplificano, la intrecciano con visioni, con
sensazioni colte nell’immediato. A poco a poco quell’idea prende corpo e forma:
sembra un’installazione, sembra una decorazione complessa, sembra una tessitura
di oggetti in parte pensati, in parte casuali: ma nulla è casuale e nulla è ben
definito. Una costante è la leggerezza, che involge di sè ogni cosa, anche quegli
oggetti, quegli insiemi che non solo paiono, ma che di fatto sono grevi, incombenti. è una leggerezza compositiva, che toglie materia, che toglie massa a
tutto cio’che genera fatica e pesantezza. Gli oggetti, le cose, le installazioni sono
percepiti come pure forme galleggianti nel vuoto. Per trasformazione estetica si
presentano come essenze, come ideiformi, sospese in un loro magico iperuranio.
È tutto approssimativo, e tutto cangiante: il tutto prescinde da significazioni
assolute e tautologiche. I sensi delle cose, delle essenze sono strettamente
connessi alle contingenze. Tutto sembra fatuo, futile, evanescente. In realtà, sono
sperimentazioni, sono un puro agire artistico, un fare e un trasformare, un plasmare e un forgiare o foggiare vestiti nuovi, scenografie nuove, il tutto riempendolo dei propri sogni, dei propri desideri, anche puramente trascendenti, assurdi,
impossibili. È un laboratorio ed una vetrina: è una identità sdoppiata. È lo spazio
creato per essere, in breve tempo, disfatto e reinventato, sino all’infinito: in un
tendere all’orizzonte senza fine, dove nell’aggiustare, stendere, imbullonare,
installare sta il significato, lo scopo dell’agire artistico, dell’essere artistico.
È, nello stesso tempo, il luogo della vanità, dell’apparire, dell’esserci.
È il luogo, in cui si fuoriesce dà sè per contemplare se stesso attraverso la suggestione indotta e generata negli altri: quelli che si soffermano stupiti e increduli.
Inevitabilmente, sboccia tra il laboratorio e la vetrina un dialogo fitto, fitto, in cui
tutto si riversa: curiosità, rivelazione, scoprimento interrogazione e riflessione.
Il dialogo diventa la vita, la sostanza, la forza di Artpoint18. Diviene una voce
sottile, sottile, che entra nei vicoli, nelle contrade, negli incontri di amici, di conoscenti. Porta con sè l’eco del manufatto d’arte, della curiosità d’arte, del senso
dell’arte e del suo fascino perenne. A poco a poco molti ne parlano, pure i gior-
nali, i mass-media. La vita solitaria di Artpoint18 continua, tra le ombre e le luci
del vicolo su cui si affaccia, illudendosi e illudendo, sognando e facendo sognare.
Nelle opere esposte prevale un senso marcato di solitudine, un senso pungente di
vuoto e di provvisorio. Si ripete sovente la simbologia cosmica di pannelli che si
aprono e che si distendono verso orizzonti non definiti: un occhio minaccioso di
rapace sovrasta la visione cosmica e la rende ancestrale. Le combinazioni presentano, all’inizio, un armonia estetica fine a se stessa, sucessivamente compromessa
da oggetti pungenti e minacciosi. L’ordine cosmico si rivela all’esterno sereno,
sicuro, stabile e statico: in realtà un qualcosa di anomalo, di indeterminato ne mina dal di dentro le fondamenta: sembra aleggiare un ‘attesa misterica e greve.
Vesti bianche, di un lucore abbagliante, sfilano come fantasmi, nel vuoto e nel
silenzio assoluto dello spazio cosmico.
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